Mario Motta
28 maggio 2009
RACCONTO DI
UNA MARATONA
PISA, 17
MAGGIO 2009
Massimo
Rabboni ed io abbiamo chiuso alle nostre spalle la porta del B & B e
ci siamo incamminati per recarci al punto di ritrovo dove l’autobus ci
avrebbe portato a Pontedera, luogo di partenza della maratona..
Come
tutte le città alle prime ore del giorno, anche Pisa ha offerto le
medesime sensazioni: il piacevole rumore dei nostri passi, l’aria
fresca e profumata, il letargo della notte che ancora non si
e’definitivamente fatto sopraffare dalla frenesia dei ritmi
quotidiani.
Il
viaggio in autobus pare eterno, poche parole fra di noi .
Finalmente siamo pronti, maglietta dell'Atletica Cinisello con i
colori della società, pettorale 331 , 333.
Niente
riscaldamento, ci diamo una rituale stretta di mano, poi vado vicino
al gruppo che segue i ragazzi con i palloncini rosa, quelli con
stampato l’ambizioso tempo delle 4 ore.
Vicino a
me c’e anche Cesare Chierici, ed insieme aspettiamo il colpo di
pistola.
Fin
dall’inizio vedo Cesare prendere un passo più deciso del mio, e
perfino dei ragazzi col palloncino che sono tre un romano e due
fiorentini, Bruno e Riccardo.
Decido di
non seguire Cesare e rimango al passo del gruppo. Siamo circa una
trentina e a occhio mi sembra di essere fra i meno giovani.
I primi
tre chilometri li percorriamo in 17 minuti, bene siamo in tabella.
Il sole
e’ ancora amico: illumina e riscalda ma senza cattiveria. Io sono
tranquillo e mi preparo a fermare il tempo dei successivi
tre chilometri: poco meno di 17 minuti, molto bene, molto bene.
Al terzo
cronometraggio sono ancora nel gruppo ma l’aria non e’ più fresca
come prima e il sudore vince la barriera del cappellino, perfidamente
raggiunge gli occhi e sento un bruciore scoraggiante.
Litigo
con il cappellino , che non ha fatto il suo dovere, rallento e con
freddezza degna di un astronauta che ripara il guasto della sua
navicella spaziale, armeggio con gli strumenti del mio essenziale
equipaggiamento e porto a termine la procedura di asciugamento occhi,
senza perdere eccessivamente terreno. Mi ritrovo staccato di una
sessantina di metri, ma ho fiducia in me stesso, mi impongo la calma.
La mente
va ai miei amici di corsa che mi staranno certamente pensando, e con
questo aiuto, lentamente, senza scatti ricucio lo strappo. Mi affianco
ai tre ragazzi col palloncino: ho la sensazione che correre al loro
fianco possa farmi sentire meno la fatica..
Attraversiamo alcuni centri abitati ma non c’e’ molta gente ad
applaudire od incitare.
Siamo
più noi e, soprattutto Bruno, li pungoliamo e li scuotiamo
(ovviamente Bruno lo fa con la classica arguzia e ironia toscana).
Tutto e’
utile per distrarsi, le gambe non si fermano mai, un passo dopo
l’altro, un rilevamento cronologico dopo l’altro, un orizzonte dopo
l’altro, uno scompare e subito dopo angosciante se ne ripropone uno
nuovo….. ma che importa dobbiamo o non dobbiamo fare 42 chilometri ?
Il sole
ha decisamente smesso di volerci bene, non e’ più nostro amico, il
caldo la fa da padrone!
Entrando
in un centro abitato scorgo l’orologio del campanile che segna le
dieci e trenta: meta percorso e’ fatto, ma il più faticoso deve
arrivare.
Col
sudore ho firmato un patto e siamo arrivati ad un compromesso: invada
pure il mio petto, le mie cosce, i miei polpacci, ma lasci libere le
mie sopracciglia….pare che rispetti i patti, ed io sono grato per la
sua lealtà.
Scorgo
Cesare che ora corre più vicino al mio gruppo, scambiamo qualche
parola per esorcizzare la fatica, lo vedo correre bene, con sicurezza,
e sciolto, io al contrario incomincio a faticare e sono costretto a
rallentare, risultato: perdo un centinaio di metri o poco meno.
Meglio cosi che andare arrosto: la maratona e’ anche gara tattica,
bisogna usare l’intelligenza, la forza non basta.
Sono
costretto a fare un nuovo sforzo per non cadere alla lusinga di porre
fine alla sofferenza (che al momento e’ più mentale che fisica).
C’e’ una
voce al mio orecchio sinistro che dice: Mario, non puoi farcela, ti
sei sopravalutato, forse il ritmo delle 4 ore non e’ ancora alla tua
portata, rallenta, godi il piacere di dare respiro ai tuoi polmoni,
immagina come ti ringrazierebbero le tue gambe se potessero
sgranchirsi un po'…! Ma una voce di rimando all’orecchio destro
rincalza: vuoi buttare al vento mesi di sacrifici? Vuoi tradire il tuo
sogno? E i tuoi amici che ti sono stati vicini nei tuoi allenamenti???
Hai dimenticato le promesse fatte a te stesso? Pensa alla gioia di
quando taglierai il traguardo, pensa che solo pochi minuti dopo di
tutta questa sofferenza non ricorderai più nulla, solo piacere solo
soddisfazione, sii fiducioso….Vado avanti, faccio tesoro della voce di
destra.
Al 25°
chilometro sento dolori alle cosce, i quadricipiti sono di legno. Mi
domando se devo preoccuparmi, se l’elongazione del muscolo che ho
subito dopo la gara della Corrilambro si farà beffa di me e del mio
ottimismo.
Concentro
la mente sui muscoli delle mie gambe, mi ascolto e mi rinfranco: ho la
certezza che sia solo l’acido lattico che la fa da padrone, cosi
decido di cambiare modo di correre: eseguo un movimento più sciolto,
prima con falcata più estesa in avanti, poi con allungamento
all’indietro delle gambe, poi, anche a scapito di una minor resa,
sollevo le ginocchia come volessi accennare un saltello.
L’accorgimento sembra dare buoni risultati, ora sto meglio.
Il gruppo
“palloncini rosa" si e’ sgranato, più che dimezzato, mancano circa
12/13 chilometri e io sono ancora li….
Bruno e’
fantastico sembra un Bronzo di Riace, la sua voce e’ suadente, il suo
passo e’ un armonico gioco di pura eleganza, i suoi incitamenti non
sono mai retorici, sono essenziali, determinati …vincenti!
Mancano
dieci chilometri il gruppo ora e’ formato da Bruno, Riccardo, un
ragazzo in tenuta blu, uno in tenuta rosso-gialla, una donna, ed io.
Mi sento
bene, Cesare e’ dietro a noi e credo sempre più nelle mie
possibilità.
Ad ogni
chilometro risucchiamo concorrenti sempre più in visibile stato di
sofferenza, e quando si vedono raggiungere i più si fermano e
incominciano a camminare. Bruno li incoraggia: “non mollate, non
mollate, rimanete agganciati a noi!” ma loro devono essere esausti
nella mente e nelle gambe.
Noi
procediamo incuranti di tutte le proteste del nostro corpo, mi sembra
che uno di noi si sia staccato, in compenso abbiamo fagocitato due
ragazzi dal fisico massiccio, mi sembrano tedeschi.
A cinque
chilometri dall’arrivo entriamo nella periferia di Pisa, sento il
bisogno di una spugnatura di acqua fresca, ma all’orizzonte non vedo
nulla….mi deprimo e torna la tentazione di mandare tutto alle ortiche.
Finalmente arriva l’ultimo posto di ristoro e ho la possibilità di
rinfrescare la mia testa rovente.
Siamo
ormai in città, c’è ovviamente molta gente e tutti ci incitano ci
incoraggiano ”dai ormai e’ fatta!!!”, ma ormai cosa, penso io, non si
rendono conto che gli ultimi tre chilometri sono quelli dell’angoscia,
della paura???
Vedo che
i secondi scorrono sempre più veloci,e temo che lo sforzo fatto fino a
quel momento non sia sufficiente.
Mancano
poco più di 2 chilometri ( 2,2 / 2,3) guardo nervosamente il
cronometro, siamo in prossimità del ponte sull’Arno
Mi sembra
di essere al Parco Nord durante gli allenamenti domenicali quando
passo sopra alla formella che indica l’ottavo chilometro, anche lì ne
mancano solo due ( e sono sempre interminabili, durissimi) ma qui ne
ho gia 40 nelle gambe!
Bruno con
la sua voce diventa ancora più determinato, senza urlare con composta
sicurezza incita ”ragazzi chi se la sente ora deve aumentare il ritmo,
senza strappare, ma aumenti e vi assicuro che arriverà sotto le
4 ore!” …nessuno raccoglie l’invito….allora Bruno rincalza “non
aspettate Riccardo e me, andate, andate!” Mi sembra di rivivere una
scena di quei retorici film di guerra americani, dove il comandante
ferito incita i suoi uomini a lasciarlo solo, e loro vadano avanti a
cercare la gloria…. Mi viene un po’ da ridere, ma solo per un attimo,
perché a quel punto vedo il ragazzo in maglietta e pantaloni blu che
preso coraggio dall’incitamento accelera e guadagna alcuni metri.
Prendo esempio, coraggio, e lo seguo. Uno dei due giganti tedeschi a
sua volta prende il mio ritmo e mi affianca, corriamo cosi per un
centinaio di metri poi io devo cedergli il passo (questi tedeschi!)
perché temo di poter soffocare per lo sforzo.
Rimango
solo solo, con il mio cronometro che a volte mi lusinga a volte mi
condanna.
Per un
attimo penso di aver accumulato un sufficiente margine per abbattere
il muro delle 4 ore, ma subito dopo mi prende lo scoramento nel vedere
l’ultimo rettilineo in piazza dei Miracoli.
Le gambe
si muovono per automatico riflesso cosi come fa la coda della
lucertola quando e’ troncata dal corpo.
Non ho
più il tempo di guardare il cronometro e non servirebbe più a niente
….. 20 metri 10 metri, mi scuote la voce del cronista :” STA PER
ARRIVARE AL TRAGUARDO MARIO CARLO MOTTA, DELL’ATLETICA CINISELLO COL
TEMPO DI 3 ORE 58 MINUTI ….”, e una manciata di secondi.
Cerco fra
la gente lo sguardo di mia moglie Anna (che e’ venuta insieme a
Maristella a vedere arrivare al traguardo me e Massimo) e quando la
vedo ci sono tanti complimenti.
Vorrei
poter far partecipi tutti della mia felicità, vorrei abbracciare
Massimo, ma Maristella mi dice che le ha telefonato per avvisarla che
e’ in ritardo, ha sofferto molto il caldo, arriverà fra pochi minuti.
Nel
frattempo il mio cuore ha ripreso a battere più regolarmente e cosi
telefono agli amici, a Bruno Annoni, a Dario Pedrotta, a Piero Magni,
a Daniela Mariani, a Massimo Conti,….. arriva nel frattempo Massimo
Rabboni e la festa e’ davvero completa.
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