Davide Galassi
27 ottobre 2009
Pensieri e parole - Racconto della Maratona di Venezia
Ci siamo, dopo
quasi due anni e un infortunio tutt’altro che trascurabile ad una
caviglia sinistra occorso dodici mesi prima (la risonanza sentenziò
“evidente alterazione dell’apparato controlaterale per lesione del
versante anteriore della sindesmosi tibio peroneale, del legamento
peroneo astragalico anteriore e del peroneo calcaneare” e il medico
legale mi affibiò 5 punti d’invalidità), finalmente giunge il giorno
del mio rientro nella regina di tutte le corse, la maratona,
nell’occasione a Venezia.
Assistito
nella preparazione dall’instancabile ed appassionatissimo Lamberto,
che non ringrazierò mai abbastanza, nella fase iniziale della stessa
(si è iniziato a metà giugno) trovo più di qualche difficoltà. Il
terribile caldo innanzitutto, che non mi farà allenare decentemente
fino alla seconda metà di agosto, nonché uno stop di un paio di
settimane a luglio, dopo che “furbescamente”, nonostante la mia zampa
non sarà mai più quella di una volta, ho ben pensato di andare a
cercar rogne facendomi un lungo nei boschi di Cantù, dove di storte ne
ho prese che la metà bastavano, andando a infiammare ciò che resta dei
miei legamenti.
In seguito
alla mezza di Monza di un mese prima, chiusa non benissimo in 1 ora e
36 minuti scarsi, Lamberto si pronuncia circa il mio tempo potenziale
sulla maratona: 3 ore e 22 minuti, questo in virtù della classica
formula “tempo sulla mezza moltiplicato per due, più dieci minuti”. Lì
per lì sono un po’ scettico su questa proiezione, in quanto lamento di
avere un gap anomalo sul passo al crescere delle varie distanze (ad
esempio, con 39’54” di personale sui 10mila, già non è “normale” avere
1.32’30” di personale sulla mezza, dovrebbero essere almeno 3 minuti
in meno). Tuttavia, nelle settimane successive a Monza sento che la
mia condizione cresce a vista d’occhio e quindi, seppur sempre con
qualche piccola riserva, ci credo un pochino di più su quelle 3 ore e
22.
Nei due giorni
precedenti la gara l’ansia comincia a farla da padrone, penso
addirittura che forse dopo l’infortunio 42km non potrei nemmeno
correrli, prendo sonno mai prima delle 2.30 e, col senno di poi, anche
questo finirà per dare il suo contributo. La mattina della gara mi
alzo non pimpante, ho le gambe molli e deboli, non sono sereno, mi
sembra di dover andare ai lavori forzati ed i minuti precedenti la
partenza sono un’autentica tortura. In più, per uno come me che già
con venti gradi schiatta, i circa 15 che ci sono alla partenza sono
già decisamente troppi.
Finalmente si
parte, ma le pippe mentali della vigilia vedo che già producono i loro
effetti, chiaramente negativi. Superati i problemi di “traffico”
iniziale (fino al km 5 è impossibile andare a più di 5’/km vista la
calca di podisti), vedo comunque che a 4’47”, passo da tenere per
finire nelle famigerate 3 ore e 22, è meglio non mi azzardi nemmeno a
correre. Procedo a circa 4’54”, e già questo è un passo che non mi
lascia tranquillo. Alla mezza transito in 1.43’45” e addirittura
prendo in considerazione l’ipotesi di fermarmi, visto che mi fa
imbestialire il fatto che mi senta stanco quasi come se avessi corso
una mezza tirata, della serie “se a 1.43’ sei bollito quasi come se
avessi tirato, che senso ha andare avanti??”, così penso che alla
prima ambulanza raccogli ritirati (ogni 3 km ce n’era una più o meno)
sarei salito a bordo. Già al 22esimo ce n’era una, e mi dico, “va beh,
questa la salto, salgo alla prossima”. Poi, al km 24, improvvisamente
mi sento bene come mai ero stato durante tutta la gara, così accantono
la folle idea del ritiro e comincio ad inanellare una serie di km in
netta progressione, arrivando più volte a scendere anche sotto i 4’47”
che avevo pianificato con coach Lamberto. Credo che dopo essere stato
in sofferenza per oltre metà gara, ora che mi sono sbloccato nulla mi
fermerà sino al traguardo, ma purtroppo questo si rivela un errore e
l’idillio va avanti solo fino al 30esimo quando, a un paio di km dal
famigerato Ponte della Libertà, tornano le streghe, stavolta in forma
più pesante, nel senso che i carboidrati sono oramai quasi in
esaurimento e a quel punto bisogna andare avanti solo di attributi. Ma
a questo punto l’idea di non arrivare in fondo nemmeno mi sfiora più,
così resto sul pezzo, soffro, stringo i denti, inevitabilmente perdo
6-7 minuti in 8-9 km ma, finito l’interminabile ponte, riesco
nuovamente a riprendere a correre a un ritmo superiore, finendo in
progressione.
I quattordici ponti dentro Venezia,
non certo l’ideale per chi corre, specie con 40 km già sulle gambe,
non li sento più di tanto perché oramai si vede la fine e si va
avanti di entusiasmo, e chiudo così il mio rientro sulla distanza
forse a me meno congeniale, ma che indubbiamente mi piace e mi da
motivazioni come nessun altra, in 3 ore, 35 minuti e 9 secondi.
Un’enormità rispetto a quel 3.22 che era l’obiettivo e che forse valgo
davvero, ma non sono affatto amareggiato. Tagliato il traguardo
prevale comunque la soddisfazione per esser riuscito forse per la
prima volta a soffrire come si deve (e questo tornerà utile sempre),
ed anche per aver pur sempre limato 3 minuti al mio vecchio personale.
Inoltre, anche la stupida paura di non riuscire a completare una
distanza tanto lunga per via della mia caviglia problematica, grazie a
questa prova l’ho vinta. E in giornate migliori arriveranno anche
crono migliori!
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